La finanza agevolata come leva di sviluppo per le imprese

Qualsiasi impresa si trova, prima o poi, nella condizione – quantomeno auspicata – di dover raccogliere fondi per finanziare il proprio percorso di crescita. Pertanto gli imprenditori si trovano a dover compiere delle scelte strategiche in merito alla struttura finanziaria della propria attività, sia rispetto all’ammontare degli investimenti necessari che ai possibili strumenti di copertura di tale fabbisogno, avendo quindi necessità di un quadro informativo completo e fruibile rispetto alle possibili fonti di finanziamento e alle più corrette modalità per avervi accesso. Con bandzai.it, intendiamo aumentare le frecce all’arco degli imprenditori italiani per districarsi nella strategia di raccolta fondi per sostenere il percorso di crescita della propria impresa.

Round di investimento is the new black!

Un sentiment molto diffuso tra chi fa impresa, specie se a forte carattere di innovazione, è che esista un unico modo per finanziare la crescita di una organizzazione in forte e rapida espansione: investimenti in equity o quasi-equity da parte di investitori professionali, siano essi fondi di investimento o investitori qualificati.

Molte volte, infatti, nella nostra carriera di capital advisor ci siamo sentiti ripetere “se una impresa è davvero innovativa e ha dimostrato la capacità di consolidare vantaggio competitivo stabile nel tempo, questa verrà certamente premiata dagli investitori privati e, grazie alla capacità dei mercati di allocare in modo efficiente i capitali, non avrà bisogno di fondi pubblici per continuare a investire in innovazione”.

Questo pensiero, molto diffuso, sta alla base della credenza per la quale solo le imprese “decotte” hanno bisogno di interessarsi di fondi pubblici e finanza agevolata, mentre per le imprese davvero “cool” e innovative dedicarsi al fundraising pubblico costituirebbe solo una perdita di tempo, che le distoglie dal core business e dall’unico fundraising che conta, quello privato.
Tuttavia, questo assunto, per quanto apparentemente lampante, è contraddetto sia nella teoria che nella pratica. Nella teoria, è stato ormai dimostrato da decenni come l’efficienza allocativa dei mercati dei capitali sia solo parziale. A causa di asimmetrie informative e effetti reputazionali, non sempre gli investitori sono in grado di discernere tra investimenti di ottima e bassa qualità. Nella pratica, l’assunto è facilmente confutabile scorrendo la graduatoria delle imprese che nel mondo hanno beneficiato di fondi pubblici e aiuti di stato. E non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti, paese che può vantare il mercato del venture capital e degli investimenti privati certamente più avanzato del mondo.

Scorrendo infatti la graduatoria, accessibile grazie al portale Subsidy Tracker, delle prime 100 imprese globali per sussidi ricevuti dalla pubblica amministrazione degli USA (sia a livello federale, che dei singoli stati e municipalità), troviamo infatti:

Imprese, come Shell, Exxon Mobil, Alcoa, Boeing, NRG Energy, attive in settori tradizionalmente sussidiati per consentire maggiore accessibilità dei propri output a filiere produttive (alluminio, siderurgia, estrattivo) e/o ai consumatori (trasporti, petrolchimico, energia);

Imprese, come General Motors, Ford, General Electric, attive in settori in difficoltà che, per gli importanti risvolti occupazionali, sono sostenute dal governo per aiutarle a preservare i posti di lavoro;

Imprese che negli ultimi 10 anni si sono rese protagoniste delle principali innovazioni prodotte a livello sistemico e che si sono consolidate come le principali aziende globali per capitalizzazione e valore del proprio brand.

Finanziamenti pubblici e big tech: alcuni dati dal mondo

Nell’ultima delle categorie precedenti ricadono imprese che non hanno certo avuto difficoltà a raccogliere miliardi di dollari da investitori e, in generale, sui mercati borsistici, anche mediante IPO record al Nasdaq, il principale indice mondiale per imprese tecnologiche. Tra queste, scendendo lungo la graduatoria dall’alto, troviamo:

Pur non avendo alcuna difficoltà a reperire capitali, queste imprese hanno utilizzato in modo intelligente la finanza pubblica nel proprio funding mix, così da generare un effetto leva e moltiplicativo sui capitali privati, utilizzando gli aiuti di stato per sostenere una quota dei propri investimenti in R&D e/o per la costruzione di nuove facility produttive. La quota di finanziamenti pubblici ha infatti ridotto il livello di rischio di questi investimenti, soprattutto quelli più legati allo studio, prototipazione e test di nuovi prodotti e soluzioni tecnologiche, rendendo di conseguenza il profilo rischio/rendimento più appetibile anche per gli investitori privati in termini di rendimento atteso.

MPMI e innovazione, a che punto siamo in Italia?

Come la letteratura internazionale suggerisce, i sistemi di incentivo alla propensione all’innovazione delle imprese, mirano a conseguire risultati positivi sia a livello di singola impresa, che a livello sistemico. L’imprenditorialità tecnologica e ad alto tasso di innovazione, infatti, migliora il substrato competitivo del tessuto socio-economico di un paese, creando nuovi posti di lavoro qualificati e duraturi. Uno studio ha mostrato come, alle soglie degli anni 2000 negli USA, l’80% della forza lavoro fosse occupata dal 3% delle società: si trattava di una piccola minoranza di imprese in forte crescita, spesso di orientamento tecnologico, la maggior parte delle quali era stata fondata da meno di 5 anni.

Con bandzai intendiamo contribuire a migliorare la capacità di innovazione del sistema di MPMI italiane, fornendo loro strumenti evoluti di business intelligence, business development e ricerca e sviluppo, che siano alla loro portata, in termini di costo oltre che di modularità e semplicità di utilizzo. Questo in un contesto in cui anche solo un temporary manager (innovation manager) viene valutato come troppo costoso (non meno di 15/20.000 € all’anno) e/o un investimento troppo rischioso, dati i costi (certi) a fronte di benefici incerti e molto difficilmente valutabili/stimabili. Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano (dati 2019), quasi la metà (44%) delle aziende medio piccole italiane, infatti, affida il presidio delle aree ICT e Digital al Responsabile IT il quale, nella maggioranza dei casi, è impiegato a gestire attività non innovative, ma di manutenzione ordinaria dei sistemi informatici. Solo il 20% delle PMI infatti dichiara di avere in organico un Innovation Manager che porti avanti progetti legati a percorsi di innovazione sui prodotti o su interi processi aziendali. In questo scenario, l’obiettivo di lungo periodo di bandzai è assicurare che – grazie anche all’adozione del servizio – la % di MPMI che guarda all’innovazione come un processo core, con una figura interna di riferimento, salga ben oltre l’attuale soglia del 20%.

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